Digital Tax

L’economia digitale ormai sta diventando l’economia globale. Non a caso nell’ultimo G7 la centralità del tema fiscale riguardo i big players del comparto informatico è lampante. La digitalizzazione dell’economia – e quindi della finanza – riesce a connettere in compravendita ogni parte del globo. Alle tantissime iniziative che ruotano attorno a questo obiettivo, ovvero i lavori dell’inclusive framework dell’Ocse, i cd. Pillar I (individuazione di nuovi criteri impositivi) e Pillar II (introduzione di un livello minimo di tassazione per le imprese multinazionali), la consultazione pubblica della Commissione europea su una digital levy, le digital service tax nazionali (tra cui quella italiana, francese e spagnola) e i lavori delle Nazioni Unite, si aggiungono la proposta di riforma fiscale americana Yellen-Biden e l’accordo raggiunto all’ultimo G7 che si pone sulla stessa scia di quest’ultima (e del Pillar II Ocse) di introdurre un livello di tassazione minima pari al 15% sugli utili delle grandi multinazionali.

Insomma la domanda che ci poniamo è se forse non era più opportuno muoversi su un terreno maggiormente conosciuto per le grandi aziende, ovvero il transfer pricing, e continuare a lavorare sull’adattamento dei suoi criteri e sempre più sull’accordo tra Stati e contribuenti. Con le multinazionali non occorre fare guerre ma cercare di farle investire e assumere in un contesto di certezza del diritto, oltre che far pagare loro la “giusta imposizione”.
In attesa che qualcosa accada, l’Italia si ritrova la sua digital service tax già in vigore (il primo versamento è stato effettuato lo scorso 16 maggio), che dovrebbe restare operativa appunto fin quando non si giunga ad una sintesi sovranazionale.
La digital service tax italiana è una imposta trascurabile quanto a gettito (233 milioni di euro, secondo i dati Mef) ma anch’essa fa molto discutere. La recente circolare n. 3/2021 dell’Agenzia delle entrate afferma che essa inquadrerebbe una imposta indiretta e ad essa non si applicherebbero i Trattati. In realtà ritenere che con tale nuova imposta non vengano tassati almeno degli elementi di reddito pare arduo, come pare arduo negare che essa non rientri nell’ambito applicativo dell’art. 2 del modello di convenzione Ocse e generi quindi profili di incompatibilità con quest’ultimo (in assenza di un relief previsto dal modello o magari dalla convenzione multilaterale). Ed invero qualche perplessità la suscita anche, sul fronte del rispetto dei trattati, la sua costituzionalità alla luce dell’art. 117 della
Carta.

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